Possibili collegamenti con il caso Narducci
Ulteriore tesi è
quella che vede nel responsabile dei delitti, o in uno dei capi della misteriosa
setta che avrebbe commissionato gli omicidi seriali, il dottor Francesco
Narducci, medico e professore universitario perugino
morto nel Lago
Trasimeno a trentasei anni nel 1985, a
poche settimane dall'ultimo degli omicidi del mostro. La morte, all'epoca, fu
archiviata come incidente e la salma fu tumulata senza procedere ad autopsia, apparendo abbastanza chiara
la causa di morte per annegamento.
Il coinvolgimento di
Narducci si fonda inizialmente sull'intercettazione telefonica di un gruppo di
pregiudicati che avrebbero minacciato una tale "Dora"] di fargli
fare la stessa fine del "medico ucciso sul Trasimeno", velato riferimento alla
morte dello stesso Narducci, rinvenuto cadavere al largo dell'isola Polvese, e sulla base
di alcune lettere anonime ricevute dagli investigatori nei mesi successivi,
nelle quali veniva collegato il medico agli omicidi] In seguito furono intercettate altre
telefonate minacciose rivolte a "Dora": in una di queste una voce femminile
(molto alterata) faceva riferimento, oltre al presunto omicidio di Narducci,
anche all'"omicidio di Pacciani". Secondo la voce al telefono, entrambi gli
omicidi erano stati eseguiti dagli appartenenti ad una setta satanica, perché le
vittime erano colpevoli di averli tradita: la stessa fine, nella
telefonata, era minacciata anche a "Dora".
Il procedimento per le
telefonate intercettate proseguì e portò ad una condanna patteggiata, mentre per
i restanti imputati il processo è ormai prossimo alla discussione. Dichiarazioni
di persone informate sui fatti e anomalie negli accertamenti sul cadavere
ripescato dalle acque del Lago Trasimeno portarono ad ipotizzare che il Narducci
fosse stato assassinato. Nel 2002 venne
riesumata la salma, sulla quale
esami autoptici dimostrarono la presenza di lesioni compatibili, per il
Consulente Prof. Giovanni Pierucci dell'Università di Pavia, con lo
strozzamento; ipotesi avvalorata anche dal rinvenimento di tracce di
narcotizzanti nei tessuti.
Proprio l'ipotizzato
omicidio del medico perugino, legato alla sostituzione del suo cadaverecon quello di uno sconosciuto in maniera
tale da insabbiare le indagini sulle effettive cause della morte nell'autunno
del 1985, ha dato luogo all'avvio di un'inchiesta giudiziaria da parte della Procura della Repubblica di Perugia, profilando il coinvolgimento di
una loggia massonica, alla quale risultava
appartenere il padre di Narducci, coinvolta sia nella
copertura degli omicidi del mostro che nella sostituzione del cadavere. Secondo Ugo Narducci invece, il figlio
Francesco si tolse volontariamente la vita a seguito di diagnosi mediche che gli
attribuivano un grave problema di salute.
All'epoca, però, la
versione ufficiale, propugnata dalla famiglia, era quella della disgrazia e, del
resto, nessuna conferma ha avuto la nuova versione della famiglia Narducci sul
suicidio motivato dalla scoperta di una malattia. Nel giugno del 2009, una parte
dell'inchiesta relativa alle modalità della fine del medico perugino è stata
archiviata dal GIP del capoluogo umbro. Per Mario Spezi e Francesco Calamandrei,
indagati insieme ad altri nella vicenda, il GIP ha archiviato a norma dell'art.
125 disp. att. c.p.p., cioè per insufficienza e contraddittorietà degli
elementi..
Per quanto riguarda la
morte per omicidio di Francesco Narducci, il GIP (Dott.ssa Marina de Robertis),
nel procedimento n. 1845/08/21, ha disposto l'archiviazione (accogliendo la
stessa richiesta del pubblico ministero, Dott. Giuliano Mignini). Comunque,
bisogna sottolineare che il GIP, nell'ordinanza con cui ha disposto
l'archiviazione per insufficienza di prove, ha accolto ed ha
confermato i risultati delle indagini svolte dalla Procura di Perugia,
confermando che il Narducci era stato ucciso, che il
cadavere ripescato il 13 ottobre 1985 non poteva essere quello del medico (ma
quello di uno sconosciuto), e che
il Narducci era morto in circostanze di tempo e di luogo completamente diverse,
e non era annegato. Sempre
secondo il GIP, il Narducci era risultato coinvolto negli ambienti nei quali
erano maturati i delitti. Per
quanto riguarda, invece, la gran parte dei reati "minori", tra i quali quelli di
soppressione e occultamento di cadavere ed uso illegittimo e soppressione di
svariati documenti, il GIP ha riconosciuto la maturata prescrizione in relazione
agli indagati principali.
L'ordinanza di archiviazione è stata impugnata in Cassazione dal padre e dal
fratello del medico morto ma la Corte stessa ha dichiarato inammissibile il
ricorso.
In particolare il GIP
De Robertis, nell'ordinanza con cui ha accolto la richiesta di archiviazione per
insufficienza di prove, ha affermato che "l'ipotesi del suicidio o dell'evento
accidentale è sconfessata dagli elementi emergenti dalle consulenze
tecniche".
Inoltre nella stessa ordinanza, con riferimento allo scambio del cadavere di
Narducci con quello di uno sconosciuto, ha affermato che le testimonianze hanno
trovato conferma nelle consulenze di natura antropometrica, "tutte concordi sul
punto essenziale: il cadavere dell'uomo di Sant'Arcangelo non poteva appartenere
al Narducci"e
"gli interrogativi sulla morte e sull'identità dello sconosciuto rimangono".
Riguardo ai collegamenti con i delitti fiorentini, "numerose sono le
dichiarazioni di persone informate che hanno riconosciuto il Narducci come
frequentatore dell'ambiente legato ai delitti."
Un altro filone
dell'inchiesta, relativo al procedimento n. 2782/95/21 e alla ipotizzata
associazione per delinquere e a reati più recenti (posti in essere da vari
soggetti istituzionali e dalla famiglia, oltre che da giornalisti e finalizzati
a nasconderne l'omicidio e le sue cause e a sostituire il cadavere e comunque a
depistare le indagini attraverso la riabilitazione di piste ormai sconfessate a
livello giudiziario, come quella della cosiddetta "pista sarda") è stato aperto
dalla Procura della Repubblica di Perugia. In
particolare si contestava, come s'è detto, a membri della famiglia di Narducci e
a vari esponenti delle istituzioni, il reato di associazione per delinquere
finalizzata all'occultamento di cadavere e altri reati. I soggetti, secondo
l'accusa, avrebbero occultato le reali modalità della morte di Narducci,
sostituendo a tal fine il suo cadavere con quello di uno sconosciuto.
Inoltre avrebbero impedito l'autopsia sul cadavere, assolutamente di regola in
casi simili di sospetto annegamento: l'autopsia non fu eseguita all'epoca, ma
soltanto dopo la riapertura delle indagini da parte della Procura di Perugia. Va
sottolineato che all'epoca non furono neppure scattate foto del cadavere e le
uniche utilizzate nelle indagini erano state effettuate da un fotoreporter del
quotidiano "La Nazione". Il tutto sarebbe stato fatto, secondo la Procura, per
evitare che emergesse il coinvolgimento del medico nella vicenda criminale
fiorentina. Il 20 aprile 2010, all'esito dell'udienza preliminare
davanti al Gup di Perugia, il Dr. Micheli ha emesso sentenza di non luogo a
procedere, con diverse e articolate formule, anche sotto il profilo
dubitativo. Nonostante il termine per il deposito
della motivazione da parte del GUP fosse scaduto alla data del 20 luglio 2010,
solo il 20 febbraio 2012, dopo un ritardo di quasi due anni, il GUP ha
depositato la motivazione di ben 934 pagine. Il Giudice, pur avendo dovuto
valutare la possibilità di sviluppo o meno in giudizio dell'impianto
accusatorio, ha, in pratica, adottato una decisione di merito, contestando gli
accertamenti del 1985, ma anche le risultanze degli accertamenti medico legali
del Dipartimento di Medicina Legale dell'Università di Pavia e quelli
antropometrici del RIS Carabinieri di Parma e ha formulato l'ipotesi
suicidiaria, escludendo un coinvolgimento del Narducci nei duplici omicidi di
coppie attribuiti al "Mostro di Firenze" Narducci si sarebbe
ucciso "stordendosi" con la meperidina, un farmaco chiamato anche petidina.
In meno di 15 giorni, il PM storico dell'indagine sul caso Narducci, il Dr. Giuliano Mignini, ha impugnato la sentenza in Cassazione il 7 marzo 2012. Nel ricorso, il PM ha censurato la totale assenza della motivazione richiesta per una sentenza di non luogo a procedere al termine dell'udienza preliminare, sostituita da una ricostruzione del tutto personale e di merito della vicenda, operata dal GUP, in violazione dei limiti che la legge pone ai poteri del Giudice dell'udienza preliminare. Inoltre, sempre secondo il PM Dr. Mignini, la sentenza è affetta da gravi violazioni di norme sostanziali, dalla profonda contraddittorietà della stessa motivazione di merito utilizzata dal GUP e da altrettanto gravi incompatibilità tra diversi capi della stessa sentenza. Anche la vedova del Narducci, Francesca Spagnoli, ha impugnato in cassazione la sentenza Micheli. Per altri procedimenti minori, sempre legati alla vicenda, è stato fissato il giudizio. Ancora altri filoni processuali della vicenda sono sospesi ex lege in attesa della definizione del procedimento per cui è intervenuto il ricorso in cassazione del PM. In data 22 marzo 2013 la Terza Sezione della Corte di Cassazione accoglieva quasi completamente il ricorso proposto dal PM Dr. Giuliano Mignini, fatta eccezione per l'ipotesi associativa e annullava la sentenza Micheli, senza rinvio, per i reati che, nel frattempo, si erano prescritti e con rinvio al GUP di Perugia per le ipotesi di reato non prescritte. Durissima era stata la requisitoria del Procuratore Generale Gaeta che aveva chiesto l'integrale accoglimento del ricorso. Tra le ipotesi di reato che torneranno dinanzi al GUP di Perugia, c'è anche la calunnia e tentata calunnia aggravate, contestate a Mario Spezi e ad altri due imputati e che erano costate al giornalista la misura cautelare della custodia in carcere.
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