giovedì 13 giugno 2013

Possibili collegamenti con il caso Narducci


Ulteriore tesi è quella che vede nel responsabile dei delitti, o in uno dei capi della misteriosa setta che avrebbe commissionato gli omicidi seriali, il dottor Francesco Narducci, medico e professore universitario perugino morto nel Lago Trasimeno a trentasei anni nel 1985, a poche settimane dall'ultimo degli omicidi del mostro. La morte, all'epoca, fu archiviata come incidente e la salma fu tumulata senza procedere ad autopsia, apparendo abbastanza chiara la causa di morte per annegamento.

Il coinvolgimento di Narducci si fonda inizialmente sull'intercettazione telefonica di un gruppo di pregiudicati che avrebbero minacciato una tale "Dora"] di fargli fare la stessa fine del "medico ucciso sul Trasimeno", velato riferimento alla morte dello stesso Narducci, rinvenuto cadavere al largo dell'isola Polvese, e sulla base di alcune lettere anonime ricevute dagli investigatori nei mesi successivi, nelle quali veniva collegato il medico agli omicidi] In seguito furono intercettate altre telefonate minacciose rivolte a "Dora": in una di queste una voce femminile (molto alterata) faceva riferimento, oltre al presunto omicidio di Narducci, anche all'"omicidio di Pacciani". Secondo la voce al telefono, entrambi gli omicidi erano stati eseguiti dagli appartenenti ad una setta satanica, perché le vittime erano colpevoli di averli tradita: la stessa fine, nella telefonata, era minacciata anche a "Dora".

Il procedimento per le telefonate intercettate proseguì e portò ad una condanna patteggiata, mentre per i restanti imputati il processo è ormai prossimo alla discussione. Dichiarazioni di persone informate sui fatti e anomalie negli accertamenti sul cadavere ripescato dalle acque del Lago Trasimeno portarono ad ipotizzare che il Narducci fosse stato assassinato. Nel 2002 venne riesumata la salma, sulla quale esami autoptici dimostrarono la presenza di lesioni compatibili, per il Consulente Prof. Giovanni Pierucci dell'Università di Pavia, con lo strozzamento; ipotesi avvalorata anche dal rinvenimento di tracce di narcotizzanti nei tessuti.

Proprio l'ipotizzato omicidio del medico perugino, legato alla sostituzione del suo cadaverecon quello di uno sconosciuto in maniera tale da insabbiare le indagini sulle effettive cause della morte nell'autunno del 1985, ha dato luogo all'avvio di un'inchiesta giudiziaria da parte della Procura della Repubblica di Perugia, profilando il coinvolgimento di una loggia massonica, alla quale risultava appartenere il padre di Narducci, coinvolta sia nella copertura degli omicidi del mostro che nella sostituzione del cadavere. Secondo Ugo Narducci invece, il figlio Francesco si tolse volontariamente la vita a seguito di diagnosi mediche che gli attribuivano un grave problema di salute.

All'epoca, però, la versione ufficiale, propugnata dalla famiglia, era quella della disgrazia e, del resto, nessuna conferma ha avuto la nuova versione della famiglia Narducci sul suicidio motivato dalla scoperta di una malattia. Nel giugno del 2009, una parte dell'inchiesta relativa alle modalità della fine del medico perugino è stata archiviata dal GIP del capoluogo umbro. Per Mario Spezi e Francesco Calamandrei, indagati insieme ad altri nella vicenda, il GIP ha archiviato a norma dell'art. 125 disp. att. c.p.p., cioè per insufficienza e contraddittorietà degli elementi..

Per quanto riguarda la morte per omicidio di Francesco Narducci, il GIP (Dott.ssa Marina de Robertis), nel procedimento n. 1845/08/21, ha disposto l'archiviazione (accogliendo la stessa richiesta del pubblico ministero, Dott. Giuliano Mignini). Comunque, bisogna sottolineare che il GIP, nell'ordinanza con cui ha disposto l'archiviazione per insufficienza di prove, ha accolto ed ha confermato i risultati delle indagini svolte dalla Procura di Perugia, confermando che il Narducci era stato ucciso, che il cadavere ripescato il 13 ottobre 1985 non poteva essere quello del medico (ma quello di uno sconosciuto), e che il Narducci era morto in circostanze di tempo e di luogo completamente diverse, e non era annegato. Sempre secondo il GIP, il Narducci era risultato coinvolto negli ambienti nei quali erano maturati i delitti. Per quanto riguarda, invece, la gran parte dei reati "minori", tra i quali quelli di soppressione e occultamento di cadavere ed uso illegittimo e soppressione di svariati documenti, il GIP ha riconosciuto la maturata prescrizione in relazione agli indagati principali. L'ordinanza di archiviazione è stata impugnata in Cassazione dal padre e dal fratello del medico morto ma la Corte stessa ha dichiarato inammissibile il ricorso.

In particolare il GIP De Robertis, nell'ordinanza con cui ha accolto la richiesta di archiviazione per insufficienza di prove, ha affermato che "l'ipotesi del suicidio o dell'evento accidentale è sconfessata dagli elementi emergenti dalle consulenze tecniche". Inoltre nella stessa ordinanza, con riferimento allo scambio del cadavere di Narducci con quello di uno sconosciuto, ha affermato che le testimonianze hanno trovato conferma nelle consulenze di natura antropometrica, "tutte concordi sul punto essenziale: il cadavere dell'uomo di Sant'Arcangelo non poteva appartenere al Narducci"e "gli interrogativi sulla morte e sull'identità dello sconosciuto rimangono". Riguardo ai collegamenti con i delitti fiorentini, "numerose sono le dichiarazioni di persone informate che hanno riconosciuto il Narducci come frequentatore dell'ambiente legato ai delitti."

Un altro filone dell'inchiesta, relativo al procedimento n. 2782/95/21 e alla ipotizzata associazione per delinquere e a reati più recenti (posti in essere da vari soggetti istituzionali e dalla famiglia, oltre che da giornalisti e finalizzati a nasconderne l'omicidio e le sue cause e a sostituire il cadavere e comunque a depistare le indagini attraverso la riabilitazione di piste ormai sconfessate a livello giudiziario, come quella della cosiddetta "pista sarda") è stato aperto dalla Procura della Repubblica di Perugia. In particolare si contestava, come s'è detto, a membri della famiglia di Narducci e a vari esponenti delle istituzioni, il reato di associazione per delinquere finalizzata all'occultamento di cadavere e altri reati. I soggetti, secondo l'accusa, avrebbero occultato le reali modalità della morte di Narducci, sostituendo a tal fine il suo cadavere con quello di uno sconosciuto. Inoltre avrebbero impedito l'autopsia sul cadavere, assolutamente di regola in casi simili di sospetto annegamento: l'autopsia non fu eseguita all'epoca, ma soltanto dopo la riapertura delle indagini da parte della Procura di Perugia. Va sottolineato che all'epoca non furono neppure scattate foto del cadavere e le uniche utilizzate nelle indagini erano state effettuate da un fotoreporter del quotidiano "La Nazione". Il tutto sarebbe stato fatto, secondo la Procura, per evitare che emergesse il coinvolgimento del medico nella vicenda criminale fiorentina. Il 20 aprile 2010, all'esito dell'udienza preliminare davanti al Gup di Perugia, il Dr. Micheli ha emesso sentenza di non luogo a procedere, con diverse e articolate formule, anche sotto il profilo dubitativo. Nonostante il termine per il deposito della motivazione da parte del GUP fosse scaduto alla data del 20 luglio 2010, solo il 20 febbraio 2012, dopo un ritardo di quasi due anni, il GUP ha depositato la motivazione di ben 934 pagine. Il Giudice, pur avendo dovuto valutare la possibilità di sviluppo o meno in giudizio dell'impianto accusatorio, ha, in pratica, adottato una decisione di merito, contestando gli accertamenti del 1985, ma anche le risultanze degli accertamenti medico legali del Dipartimento di Medicina Legale dell'Università di Pavia e quelli antropometrici del RIS Carabinieri di Parma e ha formulato l'ipotesi suicidiaria, escludendo un coinvolgimento del Narducci nei duplici omicidi di coppie attribuiti al "Mostro di Firenze" Narducci si sarebbe ucciso "stordendosi" con la meperidina, un farmaco chiamato anche petidina.

In meno di 15 giorni, il PM storico dell'indagine sul caso Narducci, il Dr. Giuliano Mignini, ha impugnato la sentenza in Cassazione il 7 marzo 2012. Nel ricorso, il PM ha censurato la totale assenza della motivazione richiesta per una sentenza di non luogo a procedere al termine dell'udienza preliminare, sostituita da una ricostruzione del tutto personale e di merito della vicenda, operata dal GUP, in violazione dei limiti che la legge pone ai poteri del Giudice dell'udienza preliminare. Inoltre, sempre secondo il PM Dr. Mignini, la sentenza è affetta da gravi violazioni di norme sostanziali, dalla profonda contraddittorietà della stessa motivazione di merito utilizzata dal GUP e da altrettanto gravi incompatibilità tra diversi capi della stessa sentenza. Anche la vedova del Narducci, Francesca Spagnoli, ha impugnato in cassazione la sentenza Micheli. Per altri procedimenti minori, sempre legati alla vicenda, è stato fissato il giudizio. Ancora altri filoni processuali della vicenda sono sospesi ex lege in attesa della definizione del procedimento per cui è intervenuto il ricorso in cassazione del PM. In data 22 marzo 2013 la Terza Sezione della Corte di Cassazione accoglieva quasi completamente il ricorso proposto dal PM Dr. Giuliano Mignini, fatta eccezione per l'ipotesi associativa e annullava la sentenza Micheli, senza rinvio, per i reati che, nel frattempo, si erano prescritti e con rinvio al GUP di Perugia per le ipotesi di reato non prescritte. Durissima era stata la requisitoria del Procuratore Generale Gaeta che aveva chiesto l'integrale accoglimento del ricorso. Tra le ipotesi di reato che torneranno dinanzi al GUP di Perugia, c'è anche la calunnia e tentata calunnia aggravate, contestate a Mario Spezi e ad altri due imputati e che erano costate al giornalista la misura cautelare della custodia in carcere.

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