La questione politica
Il coinvolgimento di Piccioni spostò il piano dello scontro, più o meno volutamente, sul piano politico.
Attilio Piccioni era
il massimo esponente della DC, all'epoca impegnata in una dura lotta contro il
PCI. Nei giorni stessi del delitto, era in piena attività la campagna elettorale
per le elezioni politiche e l'opinione politica stava dibattendo in modo molto
acceso sulla cosiddetta legge truffa.
Forse anche per via dello scandalo, alle elezioni la coalizione della DC non riuscì a raggiungere il premio di maggioranza (previsto appunto dalla nuova legge elettorale, ritenuta "truffaldina" dalle sinistre) solo per lo 0,8% dei voti.
Il deputato dell'MSI Franz
Turchi, nel marzo del 1954, rivolse al neoeletto presidente del consiglio
dei ministri Mario Scelba
un'interrogazione, cercando di ottenere rassicurazioni sui dubbi che la vicenda
aveva sollevato nel mondo politico italiano.
Scelba, sia per
volontà politica sia per distrarre l'attenzione dal montare del caso, nel corso
del 1954 annunciò a più riprese una serie di
misure repressive verso le organizzazioni di sinistra, che però all'atto pratico
si risolsero in ben poca cosa.
Gian
Paolo Brizio Falletti, compagno di partito di Piccioni, arrivò ad invocare
la censura, chiedendo provvedimenti
contro il mondo della stampa, che avrebbe dato risonanza ad una vicenda
scandalistica e poco attendibile. Le affermazioni del deputato democristiano
fecero insorgere i giornalisti e le testate della stampa libera, specie quella
schierata a sinistra. La proposta cadde, salvo poi esser ripresa nel novembre
1954 da Scelba, che invocava ed auspicava un severo autocontrollo dei
giornalisti e sul loro influsso sulla vita civile e morale del paese tramite
cronaca e stampa scandalistica.
Contro ogni previsione, la Federazione nazionale della stampa italiana accolse l'invito supportando la proposta, seppur in modo moderato e cercando di rivendicare una certa libertà d'azione.
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