giovedì 13 giugno 2013

L'ipotesi dell'omicidio


Sul luogo dell'incidente, l'inchiesta della Polizia Stradale stabilisce un probabile errore del guidatore della Mini che ha portato l'auto a schiantarsi sul retro del camion fermo in corsia d'emergenza, con le luci spente. L’autotreno con rimorchio, targato SA135371, alla cui guida c’è Alfonso Aniello e di proprietà del fratello Ruggero, si trova all’arrivo del magistrato “sulla normale corsia di marcia, tutte le luci sono funzionanti ad eccezione del gruppo (stop, lampeggiatore e posizione) del rimorchio, che è spento pur non essendo rotti i vetri dei fanalini.” Scrive il magistrato Fazzioli: “Dopo l'impatto una autovettura Mini Morris targata RC 90181, trovasi sulla corsia normale di marcia, con l’avantreno in direzione nord, la parte anteriore della detta autovettura si presenta completamente distrutta, il tetto scoperchiato. A circa venti metri dall’autovettura trovasi un autotreno con rimorchio, detto autotreno trovasi sulla corsia di marcia normale(…); il rimorchio risulta interessato dall’urto per circa la metà del postremo con inizio dall’estremo limite sinistro.” I danni alla piccola auto, uniti alle luci posteriori del camion ancora intatti e ai maggiori danni dell'autotreno localizzati su una delle fiancate, sembrano però raccontare una storia diversa.

Va sottolineato il fatto che i documenti e le agende dei ragazzi, richiesti dalle famiglie, non furono mai ritrovati. Appare strano, poi, che poco dopo l'incidente fosse accorsa sul fatto la polizia politica proveniente da Roma e alcuni ipotizzano che i cinque fossero in realtà seguiti da polizia e servizi. Tempo prima erano infatti stati ascoltati dal giudice Vittorio Occorsio per la strage di Piazza Fontana nell'ambito delle prime indagini sui circoli anarchici.

Sempre più strana fu, inoltre, il giorno prima della loro partenza, una telefonata ricevuta dal padre di Lo Celso da parte di un amico che lavorava alla polizia politica di Roma che lo ammoniva: "È meglio che non faccia partire suo figlio".

I due camionisti coinvolti, secondo la contro-inchieste portate avanti dagli anarchici, tra cui Giovanni Marini, erano dipendenti di una ditta facente capo al principe Junio Valerio Borghese, personaggio ben conosciuto nell'ambiente dell'estrema destra, nonché futura guida del famoso Golpe Borghese, di pochi mesi successivo a questo incidente. Pare anche che, a comandare l'inchiesta sull'incidente della Polizia, vi fosse tale Crescenzio Mezzina, uno dei tanti partecipanti al detto Golpe. Nel 1993 Giacomo Lauro e Carmine Dominici, due collaboratori di giustizia confermarono al giudice istruttore milanese Guido Salvini, che si occupava di eversione nera negli anni settanta, la presunta collusione tra ambienti d'estrema destra e 'ndrangheta e sostenne la diretta responsabilità di questi nei Fatti di Reggio e nell'attentato di Gioia Tauro. Carmine Dominici dirà al giudice che:

« Personalmente ritengo che quello dei cinque ragazzi non sia stato un incidente ma un omicidio. E tale opinione è condivisa anche da altri militanti avanguardisti. Non sono assolutamente in grado di indicare chi potrebbe aver preso parte alla presunta azione omicidiaria e, peraltro, era illogico che ci si rivolgesse a militanti calabresi in quanto ciò avrebbe comportato un pericoloso spostamento geografico. »
(Carmine Dominici)

Secondo la documentazione di Aldo Giannuli Bombe ad inchiostro che si rifà ai documenti dell'Ufficio affari riservati del Ministero dell'Interno "Non è vero, per esempio, come scritto, che i due camionisti che provocarono l'incidente, i fratelli Serafino e Ruggiero Aniello, fossero dipendenti di una ditta di estrema destra; i due camionisti, stando alle carte dell'UAAR (Ufficio affari riservati), sarebbero stati simpatizzanti del PSDI e non del Fronte Nazionale. Certo che erano dei veri pirati della strada questi fratelli Aniello, visto che il camion da loro portato, targato SA 135371, il 28 ottobre del 1970, causò un tamponamento, alle porte di Milano, in cui morirono 8 persone e ne restarono ferite 40".

Mario Guarino attesta che Angelo Casile aveva stilato una lista di estremisti neri in contatto con la Dittatura dei colonnelli in Grecia pubblicata anche dall'Espresso

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